Sicuramente tutti voi siete a conoscenza del faraonico tour che si è svolto negli anni 1984/85 a supporto dell’uscita del leggendario album Powerslave, quindi non mi dilungherò nella spiegazione e descrizione di un tour ormai entrato nella storia. Iniziato in Polonia nell’agosto del 1984 e terminato negli U.S.A. il 5 luglio 1985, ancora oggi rimane uno dei tour più lunghi mai intrapresi dalla band e nel metal in generale. Quell’anno i Maiden polverizzarono ogni record di durata “on the road”, oltre ad essere stata la prima band a suonare oltre la cortina di ferro.
Pochissimi giorni liberi, pochi momenti per poter visitare da turista le città e, diciamo, una vita completamente vissuta tra tour bus e camere d’albergo. I Maiden hanno girato in lungo e in largo attraverso Europa, Canada, U.S.A., Giappone e Australia per un anno intero quasi ininterrottamente. A livello promozionale, lo Slavery Tour li ha consacrati come una delle migliori band in sede live, con prestazioni eccelse e scenografie mai viste prima.
Ma non tutti sono al corrente dell’impegno fisico e mentale che la band ha dovuto sostenere in questo tour. Immaginatevi di dover suonare quasi tutte le sere per un anno intero con pochissime pause, per poi risalire sul tour bus e intraprendere un altro viaggio, pronti a suonare un altro concerto.
Per rendere ancora più chiaro questo concetto, vi menziono alcune brevi interviste effettuate direttamente ad alcuni membri della band, estratte da importanti riviste metal dell’epoca.
Dickinson dichiarò: “Fu un grande tour, ma per poco non ci distrusse.”
McBrain: “Per me ancora oggi è un miracolo essere sopravvissuti. Un tour sfiancante.”
Smith: “Non c’erano dei break, niente riposo. Solo un giorno di pausa qua e là.”
Harris: “Dopo quel tour ci serviva assolutamente del tempo per noi, perché eravamo tutti esauriti.”
Possiamo quindi renderci conto che la band abbia avuto dei seri problemi sia fisici che mentali al termine del tour. Dickinson su tutti ha avuto problematiche vocali che si sono protratte ed aggravate negli anni successivi, tanto da compromettere addirittura la sua resa live nei due tour successivi. Alcuni membri della band hanno cercato di segnalare il problema al manager Rod durante il tour, ma la sua risposta fu: “Bisogna battere il ferro finché è caldo.” Inoltre, le date erano ormai fissate ed i sold out erano sicure entrate economiche.
Insomma, concludendo, dietro al successo innegabile dello Slavery Tour vi sono stati seri problemi di natura fisica e psicologica, che hanno fatto scricchiolare lo stato della band. Noi fan ci godiamo ogni giorno il loro fantastico doppio live (Live After Death), ma credo sia doveroso mettere a conoscenza che non è stato tutto oro quello che è luccicato.
A presto, blood brothers,
Davide Miotto
Let’s stay in touch
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