Maglia pro riciclo (Rock Cycle) e gratitudine verso chi l’ha fatto studiare: gli Iron
APPROCCI DIVERSI
Dal letterale di Rime of the Ancient Mariner e la ritmica che si adatta.
Al “riscritto” di Icarus con la vicenda che ha uno svolgimento diverso dal mitologico ufficiale.
All’impressionismo di Murders in The Rue Morgue, in cui Steve lascia passare gli spezzoni di impressione (immagino – per identificazione – raccolti da bambino) lasciando anche («Ninapenda! Mi piace!!»*) rimare il francese, l’inglese e la batteria.
In Alexander the Great la storia viene scritta, è un suo saggio descrittivo breve, non pesca da un altro libro, in Gengis Khan invece affida al percussivo la storia di un popolo di cavalli, zoccoli, migrazione e invasione.
SENZA MAI
Senza mai fare troppo il professore. Quale è. Tipico working class.
Contesto. Cosa ci ha fatto piacere la Britannia per decenni senza che lo sapessimo?
La mancanza di arrampicata tra working class e upper class.
Adesso i sociologi e le sensazioni mi dicono che questa peculiarità “Sora-manega” (termine veneto per Britannia, courtesy of i gelatai del mio villaggio che emigravano nel Sussex) sta sbiadendo e le viscidità di ascesa (“upper class sad pretension”) stanno infettando anche in Inghilterra.
Ma per decenni, anche con 7 lauree, un working class rimaneva tale, contento dei suoi pub, delle sue frequentazioni, e delle sue amicizie upper che però non scimmiottava. Proudly working class.
Gli Iron sono così, coltissimi ma con una pinta in mano o nella testa, e un amico che lavora in fabbrica.
Il grandioso della working class è di non sentirsi mai colti, neanche quando porti la grande mitologia ai giovani disgraziati.
E CHE SIMPATICI
“Losfer Words (Big ‘Orra)” (“Lost for words – Big horror!”) come si pronuncia in Cockney accent.
Per me significa: ci esprimiamo storicamente grazie agli strumenti, a volte è più storico non mettere parole e ricordarci da dove siamo partiti.
Lo faccio io con il bellunese, non mi paragono ma mi sento (e da adesso sarà più chiaro a tutti) un loro compagno di spogliatoio o camerino. Uguale.
HARRIS AL SA CO L’È ORA DE TÀSER
Harris sa quando è ora di stare zitto.
Transylvania aveva una linea vocale, che mi dicono anche bella, ma Steve ha optato per una combinazione umile e letale: titolo (sottovalutato mezzo espressivo che ti orienta, a patto di essere minimali) e strumentale. Ho girato la Transilvania con il brano nelle cuffiette del walkman. Funziona.
Anche Gengis Khan: «L’idea di un’orda che entra in battaglia rende meglio senza voci». Letterale dichiarazione del professor (se ci sente si incazza) Harris.
E anche The Ides of March, il pezzo più corto degli Iron, 1’42”: chiudi gli occhi, visiti il posto esatto (vedi il mio “Omissions 3”) e hai studiato storia per sette licei e (nel mio caso) dieci bocciature.
Mi dispiace per chi mi deve sempre aspettare per 2 minuti e 84 secondi, ma due ascolti me li prendo.
Questo è il potere metallico, studentesco, buono per bocciati e promossi.
Salto molto altri pezzi di portata storica ed evocativa, perché a ogni pezzo c’è un approccio apposito che mette davanti l’opera iniziale e quella finale, come se la band fosse solo uno strumento di transizione.
Se scavi nel linguaggio cerebrale trovi una grande umiltà, una mancanza di complessi, ma qui si entra in un altro pezzo di mente Iron, un Piece of Mind da trattare a parte.
Nota e saluto: Ironfriends, non mi metto a caricare di anni di nascita e uscite né dei brani Maiden né (esempio) di Coleridge. Tutta roba che trovate altrove se (e credo di sì) ne avrete voglia.
* in Swahili
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