Questo articolo è stato ispirato da una conversazione in diretta con Davide Miotto, fondatore della MAIDEN ITALIA e autore del libro “Iron Maiden, i miei compagni di viaggio“. Nell’ambito della nostra trasmissione The Darkest Hour, si parlava della reunion e di come il rientro, fondamentale e clamoroso, di Bruce Dickinson avesse fatto passare in secondo piano il rientro, importantissimo, di Adrian Smith.
Tutto ciò mi ha dato ispirazione per parlare un po’ di questo immenso chitarrista e di come sia fondamentale per la band, spesso celebrato per il suo contributo significativo ad una delle più influenti formazioni heavy metal della storia. Nonostante la presenza carismatica del cantante Bruce Dickinson possa spesso attirare l’attenzione principale, l’importanza di Smith nel plasmare il suono distintivo e il successo duraturo degli Iron Maiden non può essere sottovalutata. È innegabile che abbia giocato un ruolo cruciale, forse a volte pari se non maggiore di quello di Dickinson, nel definire l’identità musicale della band.
Adrian Smith si unì agli Iron Maiden nel 1980, sostituendo il chitarrista Dennis Stratton. Arrivò in un momento cruciale, poco prima della registrazione del secondo album della band, “Killers”. Con una solida base nell’hard rock degli anni ’70 e influenze che spaziavano dai Thin Lizzy ai Wishbone Ash, Smith non solo portò la sua abilità tecnica come chitarrista, ma anche un senso melodico che avrebbe avuto un impatto duraturo sul suono della band. E tutti ricordiamo che impatto ebbe “Killers” nella storia del metal! Si sentiva già la sua mano. Infatti, uno degli aspetti più significativi del contributo di Smith agli Iron Maiden è stato il suo ruolo come compositore. Non solo ha arricchito il repertorio della band con alcune delle loro melodie più memorabili, ma ha anche dimostrato la sua capacità di scrivere testi che riflettevano temi complessi e introspezione. La sua abilità nel combinare melodie accattivanti con la potenza del metal ha permesso agli Iron Maiden di espandere il loro appeal ben oltre il pubblico abituale del genere. Tecnicamente, Adrian, detto “H”, è noto per il suo stile di chitarra solista fluido e espressivo, che contrasta spesso con l’approccio più aggressivo e ritmico del suo collega chitarrista Dave Murray. Questa complementarità tra i due ha creato un dualismo chitarristico che è diventato uno dei segni distintivi del suono degli Iron. L’apporto innovativo si estese significativamente al suo ruolo pionieristico nell’introduzione dei sintetizzatori nella musica della band, una mossa che ha segnato una svolta decisiva nei loro album “Somewhere in Time” (1986) e “Seventh Son of a Seventh Son” (1988). Questa trasformazione ha non solo arricchito la tessitura sonora degli Iron Maiden, ma ha anche aperto nuove venute creative che hanno definito una fase emblematica della loro carriera.
Ne parlerò nel mio terzo romanzo, “L’Enigma dei tre Eddie“. Prima del 1986, gli Iron Maiden erano principalmente noti per il loro approccio diretto e senza fronzoli al metal, basato su chitarre potenti e melodie incisive. Tuttavia, l’introduzione dei sintetizzatori in “Somewhere in Time” rappresentò una partenza audace da questo stile. Fu Adrian Smith a spingere per questa evoluzione, convinto che l’aggiunta di texture elettroniche potesse arricchire il suono della band senza compromettere la loro intensità. E non sono usati solo come ornamento, ma come elemento integrante dell’architettura musicale delle canzoni. La chitarra di Smith, abbinata ai synth, crea paesaggi sonori che portano l’ascoltatore in viaggi attraverso il tempo e lo spazio, un tema ricorrente nell’album. La sua traccia “Wasted Years”, in particolare, diventa un inno di riflessione e di nostalgia, arricchito dalle nuove texture elettroniche. La sperimentazione con i sintetizzatori raggiunse il suo apice con “Seventh Son of a Seventh Son”. In questo album, i sintetizzatori sono usati per creare un’atmosfera quasi orchestrale, supportando la narrazione di un concept album complesso che esplora temi di profezie, dualità morale e destino. Smith giocò un ruolo cruciale nel definire questo suono, contribuendo significativamente a brani come “The Evil That Men Do” e “Infinite Dreams”, che integrano perfettamente i sintetizzatori con la chitarra e il canto. L’iniziativa di adottare i sintetizzatori non solo rinnovò il suono della band, ma influenzò anche altri gruppi metal degli anni ’80 e ’90, dimostrando che il genere poteva espandersi oltre i suoi confini tradizionali senza perdere il suo cuore emotivo e la sua potenza. Questa evoluzione contribuì a mantenere gli Iron Maiden rilevanti e innovativi in un’epoca di rapido cambiamento musicale. In definitiva, l’introduzione promossa da Adrian, non solo arricchì la musicalità degli Iron Maiden, ma cementò ulteriormente la sua importanza all’interno della band. Questo periodo di sperimentazione sotto la sua guida dimostra come la sua influenza andasse ben oltre il suo contributo come chitarrista e compositore, stabilendo Smith come un visionario determinante nella storia della band e del genere metal.
Mentre Bruce Dickinson è spesso visto come il “frontman” definitivo, la sinergia tra lui e Smith è stata un elemento fondamentale nel successo degli Iron Maiden. Dickinson e Smith hanno collaborato strettamente in molte canzoni, con Smith che spesso contribuiva con idee musicali che completavano le liriche di Dickinson. Questa collaborazione ha portato a alcuni dei momenti più iconici della band, evidenziando come il loro rapporto creativo abbia beneficiato reciprocamente le loro carriere. Una su tutte, “Two Minutes to Midnight”.
L’impatto di Adrian sugli Iron Maiden è palpabile non solo nelle canzoni che ha scritto, ma anche nel modo in cui ha influenzato la direzione musicale della band. La sua temporanea uscita nel 1990 fu avvertita profondamente, e il suo ritorno nel 1999 è stato accolto con grande entusiasmo sia dai fan che dai critici, segnando una rinascita creativa per la band.
In conclusione, mentre Bruce Dickinson potrebbe essere il viso più riconoscibile degli Iron Maiden, il contributo di Adrian Smith alla band è immenso. La sua abilità nella composizione, il suo stile chitarristico unico e la sua chimica con Dickinson sono stati essenziali nel definire e mantenere il successo nel corso degli anni. Smith non solo ha arricchito la musica dei Maiden con il suo talento, ma ha anche assicurato che la band rimanesse rilevante in un panorama musicale in costante evoluzione, cementando il suo posto come una figura chiave nella storia del rock e del metal.
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